Con la speranza che su questo blog, possa ritrovarsi una generazione che sappia immaginare il futuro. Protagonisti fino in fondo. Luciano Cavaliere

sabato 12 febbraio 2011

CASO FIAT: il GIOCO dei RICATTI

Tra il referendum di Mirafiori imposto da Marchionne e le risposte logore dei sindacati dei lavoratori, ancorati alle ideologie del secolo scorso, ha tuonato il sostanziale silenzio della politica. Il referendum ha posto i lavoratori di fronte a una scelta improbabile tra diritti e lavoro e lo stile ruvido, diretto e spigoloso di Sergio Marchionne ha spinto all'estremo il dibattito pubblico italiano, mentre il mondo politico è rimasto inerme osservatore, salvo poche voci che si sono levate dal silenzioso coro.



Maggiore governabilità degli impianti, possibilità di fare straordinari senza contrattazione (si passerà dalle 40 ore previste annualmente dal contratto nazionale dei metalmeccanici a 120 ore del nuovo accordo con le previste maggiorazioni dello stipendio), riduzione delle pause (10 minuti in meno che verranno retribuiti dall’azienda con 32 euro al mese di compensazione) e riduzione dell’assenteismo (da tenere sotto la soglia complessiva del 6%) rappresentano degli obiettivi ragionevoli. Ma sono sufficienti per giustificare ingenti investimenti rispetto ad un piano industriale ancora, per lo più, misterioso?!?

Il punto cruciale è che la Fiat, prima di investire, ha richiesto garanzie che il contratto nazionale non poteva fornire, a meno che non fosse stato raggiunto un accordo sindacale unitario. E questo non è avvenuto, anche a causa di un atteggiamento anacronistico di quei sindacati che troppo spesso, a causa di strumentalizzazioni e speculazioni politiche, perdono di vista il loro originario e fondamentale ruolo.

Una volta che si è spaccato il fronte sindacale, l’impresa ha potuto utilizzare lo stratagemma giuridico di uscire da Confindustria e, quindi, dal recinto di applicazione del contratto nazionale del lavoro per garantire la rappresentanza ai soli sindacati firmatari dell’accordo, automaticamente vincolati alle clausole del nuovo contratto.

Alla base della filosofia dell’amministratore Marchionne - e della poco citata proprietà alle sue spalle - c’è la profonda convinzione che gli operai italiani, svogliati e troppo tutelati, non consentano all’impresa di produrre a ritmi elevati e di reggere la competizione con i colossi mondiali del mercato automobilistico e con le economie emergenti, come Cina, India e Brasile.

L’Italia, secondo l’Amministratore Delegato della Fiat, è un paese che, economicamente, si sta allontanando dal cuore produttivo dell'Europa e dalla ricchezza media che caratterizza l’area nord-occidentale del nostro continente. Pertanto, anche il mercato locale dell’auto sembrerebbe manifestare una polarizzazione estrema, che si può rispecchiare implicitamente nella strategia adottata da Marchionne: pochi brand di lusso per le fasce sociali che mantengono o aumentano il proprio reddito ed il marchio Fiat per le fasce meno abbienti, che dovrebbero - possibilmente – comprare modelli fabbricati in Turchia, Serbia, Polonia con costi della manodopera assai inferiori rispetto all’Italia.

Stride però, che il processo di delocalizzazione produttiva della Fiat, fatto passare a tutti i costi come la migliore strategia possibile per restare competitivi sul mercato, sia una risposta accettabile rispetto all’ingente quantità di danaro pubblico di cui, da sempre, la stessa Fiat ha usufruito grazie al sostegno, diretto od indiretto, dei vari Governi che si sono succeduti alla guida del nostro Paese. Appare, francamente, bizzarro che Marchionne e la proprietà si siano dimenticati, così facilmente, degli “aiuti di Stato” di cui si sono avvantaggiati e che, oggi, descrivano l’Italia come un paese nel quale non vale neanche più la pena di rimanere a produrre.

È impossibile percorrere un’altra strada? Forse, come molti sostengono, c’è davvero bisogno di una ritorno della politica, o se vogliamo dei Politici (quelli con la “P” maiuscola), per tracciare un nuovo percorso che consenta un compromesso migliore tra le esigenze degli imprenditori, dei lavoratori, dei cittadini e del Paese tutto. Questa strada è la maggiore e reale partecipazione degli operai alla vita aziendale, una condivisione più ampia delle strategie e dei progetti un impegno comune a farsi carico - ognuno nel proprio ruolo e con le proprie responsabilità - delle sorti aziendali, sia in caso di utile che di perdita.

Questa strada è probabilmente l’unica che potrà essere percorsa per non precipitare in pericolose logiche economiche speculative, che giochino al ribasso su costi e condizioni di lavoro, calpestando prima di tutto la dignità dell’uomo. Di sicuro, è necessario un confronto e un dialogo serio tra sindacati, che devono tornare a rappresentare davvero i lavoratori senza più strumentalizzarli, ed il mondo imprenditoriale, che non può puntare alla spasmodica ricerca del profitto, unico altare sul quale sacrificare ogni altro aspetto legato al lavoro e alla produttività.

È naturale che la Politica dovrà tornare ad interpretare un ruolo fondamentale, avendo il compito, delicato e vitale, di mettere al centro sempre l’interesse ed il bene comune di tutto il Paese per non rischiare che un ulteriore referendum-ricatto, che potrebbe coinvolgere gli stabilimenti Fiat di Melfi e Cassino, inasprisca quei conflitti sociali di cui l’Italia non sente per nulla il bisogno.

Data della votazione a Mirafiori: 13 e 14 gennaio 2011


Per quanto riguarda i dati:
Affluenza: 94,9 %
Votanti: 5119 su 5431
Voti validi: 5060
Schede bianche o nulle: 59
Voti favorevoli: 2735 (54,05%)
Voti contrari: 2325 (45,95%)

Divisione dei voti tra i reparti:
Impiegati: 421 si, 20 no
Personale del terzo turno: 262 si, 111 no
Addetti al montaggio: 1386 si, 1576 no
Reparto verniciatura: 253 si, 195 no
Reparto lastratura: 414 si, 423 no

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